30 settembre 2021, ore 12:30

A fine agosto è approdata su Netflix la serie “Clickbait” di cui non si è parlato poi così tanto. Dopo averla vista, abbiamo ritenuto appropriato recensirla, non tanto per scelte formali o narrative particolarmente innovative, ma per le tematiche che affronta, che oltre a riguardare nel concreto il mondo del web e dei media contemporanei, parla direttamente alla generazione Zeta.

Che vuol dire Clickbait?

Andiamo con ordine e prima di passare al giudizio critico sulla serie cerchiamo di capire che cosa vuol dire letteralmente ClickBait.

L’Oxford Dictionary definisce Clickbait qualsiasi «contenuto il cui scopo principale è attrarre l’attenzione e spingere i lettori a cliccare sul link di una determinata pagina web». Giornali e siti d’informazione, così, sfruttano il click baiting per rendere appetibili i loro contenuti, di qualsiasi tipo essi siano, e rubare click ai competitor. Se volessimo tradurre la parola in italiano diventerebbe “esca da click”.

La trama della serie in breve

La vicenda ha inizio nel momento in cui su internet viene caricato un video/clickbait in cui un uomo, che si scoprirà essere Nick Brewer (Adrian Grenier), marito, fratello e padre affettuoso, mostra un cartello su cui ha scritto: “Io abuso delle donne. A 5 milioni di visualizzazioni morirò”. Tutti si chiedono se si tratti di un fake o se il video sia effettivamente vero. L’unica cosa certa è che le visualizzazioni si moltiplicano di secondo in secondo e con esse aumenta la sensazione di panico di amici, parenti e spettatori perché la vita di Nick sembra appesa a un filo.

Nick non risponde al telefono, i detective iniziano a indagare e l’immagine di marito e padre perfetto piano piano si frantuma in seguito alla scoperta di particolari segreti sulla sua vita. Il pubblico scatenerà tutta la sua cattiveria sul web. Ma dove sta la verità? Nick è morto in seguito ai cinque milioni di visualizzazioni o è ancora vivo?

L’impalcatura della narrazione si sviluppa seguendo la vicenda principale, raccontata dal punto di vista di un personaggio diverso per ogni episodio, fino ad arrivare al gran finale, ricco di sorprese e suspence.


La recensione

Nonostante non si evidenzino particolari innovazioni né sul piano formale, né tantomeno sul piano narrativo, Clickbait è una serie ben riuscita che riesce nell’intento di evocare un’atmosfera claustrofobica, inquietante e ricca di colpi di scena accattivanti. Fin dalle prime scene ci si rende conto di quanto il mondo che viene raccontato sia l’esatta configurazione di tutti gli incubi più utopici messi in scena negli ultimi anni da un’altra serie molto famosa, ossia Black Mirror, dove la tecnologia e il sistema dei media contemporanei prendono il sopravvento e finiscono per annientare l’essere umano. Tutto questo prende vita e si concretizza in modo inquietante in Clickbait, dove gli schermi dei PC e degli Smartphone invadono letteralmente le inquadrature utilizzando quella modalità, ormai molto di moda, del “picture in picture”. Ciò che George Orwell aveva profetizzato nel suo celebre volume “1984” dove la società è dominata dal Grande Fratello, un misterioso personaggio che nessuno ha mai incontrato di persona e che tiene costantemente sotto controllo la vita dei cittadini, mediante l’uso di speciali teleschermi, trova l’esatta conferma nella narrazione di Clickbait dove nessuno dei personaggi (e di noi spettatori che guardiamo) può sottrarsi alla dittatura della rete e delle sue regole.

 

Ci sarà una seconda stagione?

Se avete finito Clickbait e vi state domandando se ci sarà una seconda stagione, la risposta è ovviamente no. Si tratta di una miniserie quindi gli eventi si concludono con l’ultimo episodio. Naturalmente non si può escludere che si decida di trasformarla in un’antologia con una nuova storia con altri protagonisti ma al momento è più un sogno che una vera notizia.