Il caso Alex Schwazer, la docu-serie su un campione alla ricerca di redenzione
Ospite ieri ai microfoni di RTL 102.5, il marciatore si è raccontato senza filtri parlando anche della serie di Netflix
È disponibile dal 13 Aprile su Netflix la docuserie "Il caso Alex Schwazer", che racconta la complicata parabola giudiziaria di un campione sportivo vittima di un'ingiusta macchinazione ma capace di grande resilienza e forza d'animo. Articolata in quattro episodi, Il caso la serie streaming fotografa la realtà senza romanzare, e alterna materiale d'archivio inedito e non una lunga intervista a Schwazer. Poi viene raccontata la testimonianza dall'allenatore Sandro Donati, simbolo per eccellenza dello "sport pulito".
Il marciatore è stato ospite ieri mattina su RTL 102.5 e si è lasciato andare in un’intervista molto intima, dove ripercorre alcuni momenti difficili della sua carriera da sportivo.
SCHWAZER SU RTL 102.5
Ai microfoni di Viva L’italia, il campione ha raccontato le vicende dopo l’oro olimpico, conquistato nel 2008 a Pechino.
“Il mio sogno era partecipare alle Olimpiadi, e le ho vinte. Dopo quella vittoria mi sentivo un po’ arrivato, ma avevo 23 anni ed ho fatto di tutto per andare avanti. Non avevo lo stesso entusiasmo ed era diventato quasi un obbligo. Ho fatto tanti cambiamenti: allenatore, psicologi, luoghi, ma non trovavo la giusta serenità. Alla fine, per via della rabbia nei confronti degli avversari russi, che sapevo doparsi, ho pensato: ‘sto male perché subisco il doping dei Russi’, quindi o smetto o incomincio a farlo anche io. Il controsenso è che avevo vinto un’olimpiade senza doping. La mia fidanzata non sapeva niente, i controlli potevano arrivare ogni giorno e sono arrivati quando mi trovavo a casa di Carolina Kostner. Come regolamento avevo dichiarato di essere in Alto Adige, per questo le ho chiesto di mentire”.
Il marciatore poi ha parlato del momento forse più buio della sua carriera, quello del doping.
“Questa positività è stata rilevata mesi dopo, il 21 giugno. Il primo risultato era negativo. Il controllo è arrivato il primo gennaio, un giorno inusuale per un controllo anti-doping. Sandro Donati ha detto subito che questo era un tentativo di incastrarmi. Sono andato a Rio convinto che sarebbe saltato fuori un errore, invece sono stato squalificato per altri 8 anni. Nel giro di un mese abbiamo dovuto presentare la difesa, cosa impensabile per la reperibilità dei documenti. La giustizia sportiva mi ha condannato, ma quella penale no, sono stato dichiarato innocente per non aver commesso il fatto. Sono stato assolto dopo 5 anni, nonostante l’ostruzionismo degli organi sportivi. La giustizia sportiva ha confermato la squalifica fino al 2024, ma il processo sportivo non c’è più stato”
La serie di Netflix sembra essere stata molto apprezzata dalla Generazione Zeta, che ha seguito con grande attenzione la vicenda di questo sportivo, soprattutto empatizzando con il lato umano e fragile che lo ha contraddistinto.