"Se ti è piaciuto Squid Game...": due romanzi imperdibili per chi ha amato la serie tv del momento

La serie tv coreana Squid Game ha suscitato enorme scalpore, ma non è particolarmente originale. Per capirlo, basta recuperare due titoli: Battle Royale e Hunger Games

Alle origini dei giochi mortali: Battle Royale di Takami

È il duro destino dei pionieri: tutti rubano da te ma nessuno ti riconosce come legittimo iniziatore. Vi siete lasciati affascinare dai giochi mortali inscenati in Squid Game, dramma coreano che sta letteralmente facendo il giro del mondo. All’infuori dell’entusiasmo iniziale, però, non potrete ignorare il fatto che, per quanto di alta qualità, questa serie tv sia un prodotto fortemente derivativo. E ciò da cui deriva l’immaginario proposto in questo caso è stato già rappresentato. Non scomodiamo Il signore delle mosche, che a sua volta è, per certi versi, padre dei testi che stiamo per analizzare. Partiamo invece da un’opera un po’ dimenticata, scritta nel 1996 e pubblicata solo nel 1999: si tratta del romanzo Battle Royale, dello scrittore giapponese Koushun Takami.
Siamo nella “Repubblica della Grande Asia Orientale”, una versione totalitaria del Giappone. Ogni anno, una classe di scuola media viene selezionata casualmente per prender parte al “Programma”, un macabro gioco al quale i ragazzi vengono obbligati a giocare. In cosa consiste questo “Programma”? Uccidersi l’un l’altro, finché uno solo sopravvive. Ad assicurare la riuscita del gioco ci sono dei collari metallici pronti ad esplodere all’occorrenza, ovvero se il partecipante si trova in “zone vietate” o tenta di rimuovere lo stesso.
Assolutamente crudo e per certi versi insensato appare il romanzo di Takami, che nella sua violenza allucinata lascia spazio alle speculazioni del lettore riguardo ai fini, i moventi e le morali legate alla trama. Battle Royale, non esternando i presupposti che generano la trama, induce nel lettore un certo piacere voyeuristico che, da un lato, non può non impressionare fortemente il lettore e “sporcare” il suo immaginario, dall’altro spinge lo spettatore a forzarsi nel trovare una morale, a farsi delle domande (anche sul fatto stesso di godere di quello spettacolo di finzione).

Fino all’Arena: Hunger Games e l’intrattenimento ultramoderno

Lasciamo da parte il grezzo “Programma” di Takami per spostarci negli Usa, dove la scrittrice Suzanne Collins ha saputo confezionare, nel 2008, un prodotto più elaborato sotto diversi punti di vista. Siamo a Panem, un continente (che ricalca ovviamente gli USA) diviso in distretti , tutti sottomessi a Capitol City. Come punizione per la ribellione contro la capitale, ognuno di questi distretti, dal più ricco al più povero, deve ogni anno cedere in tributo due giovani, un maschio e una femmina. 24 in totale sono i tributi che si sfideranno in una lotta mortale all’interno dell’Arena, campo di battaglia e sopravvivenza progettato da uno stratega e gestita da un team di tecnici. I giochi, inoltre, sono trasmessi in televisione, così che tutti possano assistervi, mentre a Capitol si fanno scommesse e si sceglie quale dei giovani sponsorizzare. Altro discrimine importante è la presenza, all’interno di Hunger Games, di un personaggio principale forte, appartenente al distretto più povero, Katniss, la quale è diventata un vero e proprio modello per tantissimi lettori.
Dinamiche economiche e di potere ben più marcate distinguono Hunger Games dal suo antecedente giapponese. Il romanzo di Collins presenta caratteristiche che lo rendono maggiormente appetibile per un pubblico ampio, nonché decisamente stuzzicante dal punto di vista della riflessione morale. Chissà che non diventi un must anche per voi. 

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